I ragazzi che vanno via di casa a 20 anni, convinti di svoltare, carichi e pronti a spaccare il mondo non sono poi così tanti come si dice e si vuol far credere. A quell’eta’ si è davvero convinti di poter fare tutto, di farcela da soli: i soldi contano, certo, ma contano di più i sogni. Non parlo di chi dopo aver annaspato tra le braccia di mamma e papà fino a 30-35 anni decide di mettersi a fare qualcosa, qualsiasi cosa pur di avere uno stipendio. No. Parlo di chi giA’ subito dopo il liceo ha iniziato a cucinarsi da solo e farsi lavatrici “sbagliate” in un appartamentino sgarrupato, in una città nuova, una casa bruttina con mobili montati alla meno peggio e il frigo sempre vuoto. Sveglia sempre alla stessa ora, spesa solitaria, TV, cena. E così via.
Ma il paradosso, in queste circostanze, è che spesso, sempre, le telefonate che arrivano da casa non iniziano mai con un “come va?” ma con un “quando torni”, come se quella vita da schifo in cerca di indipendenza a costo di sacrifici abbia qualcosa di peccaminoso o sia addirittura un motivo per sentirsi in colpa. Questo perché il fratello o la sorella rimasto a casa aiuta la mamma o il papà con le faccende, certo non lavora, qualcosa di saltuario, ma sta con la famiglia. I ragazzi che partono, quindi, oltre ad essere soli e tutt’altro che felici spesso sono anche costretti a sentirsi “colpevoli”, meno presenti.
Qualcuno crede che si divertano da pazzi, facciano la bella vita… la realtà invece è solo una: mentre a casa si cena tutti insieme parlando delle poche telefonate del fratello “andato via”, i malcapitati sono soli, a mangiare una pizza – il più delle volte schifosa-davanti alla TV.
È triste appurare quanto quasi sempre siano più apprezzati i “buoni figli pantofolai”,magari storiche capre a scuola, privi di ambizioni (e di neuroni) e eterni inquilini di babbo e mamma. Loro vanno in farmacia a comprare le medicine per la nonna, passano dal panificio, pagano le bollette (con i soldi di babbo), mica come te (folle) che te ne sei andato di casa per lavorare. E poi ci si lamenta. Ai ragazzi che vanno via di casa da ragazzini, che sembrano tanto forti ma che non lo sono affatto, basterebbe solo un “come va” ogni tanto, un “stai facendo la cosa giusta”, “siamo con te”. Basterebbe poco per premiare quei pochi che credono ancora che i sacrifici pagano, che conta davvero potercela fare da soli, che i sogni prima i poi si realizzano.
Basterebbe poco per non spegnere il desiderio di crescere, per premiare il merito, per superare il diffusissimo egoismo genitoriale che impedisce ai pochi ragazzi che credono di potercela fare, nonostante tutto, di seguire serenamente le loro ambizioni, senza portare addosso zavorre pesanti e dolorose.